Guido Segni
La fallibilità del digitale
Un’intervista Skype lunga 50 anni
Oggi ci confronteremo con un Guido Segni,brillante artista ed insegnante presso l’Accademia di Carrara, in diretta da Lucca, per una chiacchierata sulla NetArt,bot, networks,hacktivism,internet e la rete, obsolescenza dei mezzi digitali, conservazione della memoria collettiva e qualche anticipazione su un nuovo lavoro!
Quando e in che modo hai iniziato ad utilizzare internet come strumento di sperimentazione artistica?
Quando ho iniziato, nel 2000, era il periodo fisiologimanete di grande espansione della rete.Io venivo dal mondo del video, e successivamente ho frequentato l accademia di Carrara in arte multimediale. .
Noi siamo stati degli immigrati digitali già negli anni 80. Diciamo che ho scoperto le potenzialità di internet quando suonando in un gruppo punk internet era lo strumento ideale per distribuire materiale, le demo, e quindi quando mi sono trovato poi a studiare arte multimediale, video ecc è stato naturale prendere questo filone.
mi piaceva l idea di sperimentare con le immagini,anche col video, ed ho capito il potenziale della rete sia come linguaggio sia come estetica.
Lo ripeto sempre per me nella video arte è stato importante Giacomo Verde che in qualche maniera mi ha avvicinato a questo mondo.
Ti riconosci in un’estetica in particolare?
La prima estetica che riconosco come mia è quella della NetArt, con tutti i dubbi su questo termine, è quello che diciamo mi rappresenta meglio, dove per rete non mi riferisco solo a internet ma proprio all’ide di fare rete, dell’utilizzarla in maniera perferomativa, come processo e in quello mi ci trovo ancora.
Parlando dei primi inizi della rete,all’infanzia della rete,vi era anche un pubblico meno massificato ma c’era un idea utopica dell’unione, di abbattere i confini tra le nazioni,c’era un senso di appartenenza e vicinanza a un gruppo di ricerca che riconosce la rete come un luogo da esplorare.
In “deserte failure”,lavoro presentato alla The Wrong New Digital Art Biennale nel 2015,hai stimato cinquantanni per la conclusione effettiva dell’opera..diciamocelo che sono tanti!
Quale significato dai al tempo nell’opera d’arte in questo caso?
Si cinquant’anni sono tanti, è stato un tentativo nato dalla frustrazione di lavorare col media digitale,
l’idea era di creare un meccanismo automatizzato che compisse un azione simbolica che è quello di attraversare il deserto e questo avviene attraverso la sua mappatura. al di là del meccanismo pure e semplice,il concetto è quello di attraversare il deserto rispettando tutti i mezzi tecnici del caso, usiamo google per la mappatura, tumblr per l’archiviazione, cercare di capire se questa traversata sarebbe arrivata in fondo, ed è un po’ un fallimento preannunciato ma ero curioso di capire fino a che punto funzionasse,per ora sta reggendo Però è iniziato tutto nel 2013 ed ora siamo nel 2017, sono solo 4 anni sui 50 stabiliti.e’ orientato nell’ottica di capire cosa stiamo facendo quando utilizziamo internet.
Quanto influisce,dunque, l’obsolescenza del mezzo digitale su questo lavoro?
Lavorando su questa tipologia di linguaggi ti scontri sempre più spesso con la tecnologia si rinnova e il lavoro che hai fatto viene meno:non regge ‘all’onda d’urto del tempo. Ad esempio i servizi che Google metteva allora sono cambiati e quindi tutto il nostro lavoro ora non è funzionante o comunque è diverso. questa cosa non permette di lasciare tracce nel terreno in cui stai camminando.Abbiamo quest’idea del mezzo digitale eterno quando invece è il mezzo più instabile della dimensione della memoria umana, perchè è soggetto a forti cambiamenti, tensioni, rinnovamento di supporti.
Il tempo è finalizzato a capire questo senso della memoria.
A cosa ti riferisci quando parli di fallimento?
Del lavoro mi sono premurato di dire che sarà un fallimento, perchè lo è quello della tecnologia.
La tecnologia è fallibile nel senso che abbiamo una fiducia cieca nella tecnologia, gli strumenti che abbiamo a disposizione non possono garantirci la durata nel tempo, noi stiamo producendo tanta cultura, tanta memoria con la tecnologia che abbiamo in questo momento,che succede per esempio tra 5 anni bisognerà nuovamente trasportare i contenuti su altri mezzi della nuova tecnologia, la produzione culturale è in crescita avendone dato grande accesso ma la velocità con la quale si muove la tecnologia e la cultura attuale non è compatibile, qualcosa stiamo perdendo sempre. prendiamo ad esempio Geocietes era un servizio per creare siti ed era anche molto famoso, è stato comprato da Yahoo che non potendo più mantenerlo ha chiuso tutto, parliamo di terabyte di dati che non sono stati persi( li hanno recuperati poi archeologi digitali) ma non sono stati mantenuti online,il problema è veder sparire pezzi di memoria collettiva.
Data la natura del mezzo artistico, come ti rapporti con l’allestimento dei tuoi lavori?
per me è sempre motivo di grande fatica, le prime volte io avevo la percezione di quello che era nello schermo e mi rendevo conto che la cosa non funzionasse nello stesso modo perchè alcuni lavori avevano bisogno di una dimensione più intima per essere visionati,dello schermo proprio, quando li mettevi invece su gradne schermo in una galleria o museo, il lavoro spariva. I lavori vengono etichettati come net art ma quello che io faccio in generale è comunicare un racconto, il mezzo con quale viene trasmesso è lo schermo,è il linguaggio di internet, il browser.è un po come dire il libro e il film, l’importante è comunque il racconto.
Il libro ha le sue specificità di linguaggio e viceversa. Lo stesso per il mio lavoro. quello che è importante è la riflessione che c’è dietro sul discorso della memoria, ogni volta quindi devo cercare la traduzione di quel racconto. Poi ci sono certamente lavori che nascono più come immagini, ed è più facile ma quando hai a che fare con la netart è sempre un ibrido nell’allestimento.
Gli spazi della fruizione dell’arte tendono ad essere dispersivi, è difficile riuscire a concentrasi su un solo lavoro.
Con la NetArt la fruizione dell’opera a schermo diventa anche un modo per approfondire volendo la questione in una condizione di intimità,si ha la possibilità di esplorare, è semplicemente diverso dal fruire l’opera in un altro contesto.
Come percepisci le tue identita digitali?
L’identità è qualcosa di assimilabile, il nome è come un vestito, certe volte devi usare un nome per un contesto ben preciso, l’idea di base è quella del rifiuto, i nomi tendono a formare la percezione della cosa esattamente come un vestito trasgressivo o la giacca e la cravatta. Lo stesso Guido Segni non è il mio nome reale. Perchè volevo un nome quasi anonimo. su internet si diceva “nessuno sa che sei un cane”,il nome è un po’ un personaggio attraverso il quale racconto una storia diversa. a seconda di quello che voglio fare ho un personaggio che comunque nasce in maniera spontanea. Per un operazione di guerriglia marketing ho creato Guido Segni che comunque rivela qualcosa, il pilota dei segni possiamo dire e fa sempre parte del racconto.Alcune situazioni mi hanno richiesto di avere identità differenti e la cosa mi divertiva comunque.Ognuno di noi da una forma di racconto di noi stessi, se sei sui social contribuisci a creare un racconto di quello che sei e di quello che vorresti essere, lo facciamo tutti in maniera piu o meno consapevole e Guido Segni è questo diciamo.
Il socia network per me è importante per la propaganda del racconto, tengo separata la parte privata. come comunico il lavoro il lavoro sono integrati. “bisogna fare le cose fatte a modino” non bisogna abusarne ed avere consapevolezza dello spazio nel quale ci si sta muovendo.
E’ curioso come tu sia riuscito a collegarti con così tante persone sconosciute per il tuo lavoro ,The Middle Finger Response, puoi raccontarci come è nato?
Feci un lavoro basato sulla piattaforma Amazanon Meccanical Turk,è una piattaforma nella quale le persone non specializzate svolgono lavori a costi abbastanza bassi. E’ un fenomeno enorme.La rete ha fatto si che si creassero piattaforme economiche mettendo in contatto domanda ed offerta. Sono persone con le quali ti relazioni ma che non conosci. In The Middle Finger Response in pratica ho messo un annuncio nel quale offrivo del denaro in cambio di una foto col dito medio e quello che è successo è che il dito medio in realtà è la parte meno significativa:una volta che viene digerito, dietro di esso ci sono gli ambienti, le tipologie di persone che lavorano,le età, i luoghi, le case, è stato come un reportage sulla nuova frontiera del lavoro digitale. Questo progetto nasce per caso: inizialmente chiesi di disegnare qualcosa e una persona invece di mandarmi il disegno mi mandò questa fotografia.Ho raccolto più di 500 fotografie in questo modo, sono per la maggior parte foto spontanee. Questo lavoro fu esposto a Dusserldorf,e addirittura una persona era convinta di essere quella fotografata nel manifesto e voleva fosse rimosso!
Hai qualche altro lavoro in “attesa”?
Dovrei far uscire un lavoro del 2016 che avevo presentato a maggio scorso a Parma che lavora in maniera ironica sullo stesso tema, è un bot di twitter che pubblica un tweet ogni 5 minuti con la scritta “verba volant, scripta manent”. L’azione deve essere letta attraverso l’affiancamento del marmo e del mezzo digitale. Il marmo è il materiale eterno, considerato più resistente, ed utilizzato per conservare la memoria collettiva guardiamo ad esempio tombe e monumenti.
La frase invece si riferisce all’uccellino di twitter che cinguetta. Non ho posto un termine a questo lavoro, si vedrà quando twitter non esisterà più.

Per ora ci congediamo…chissà cosa succederà tra 50 anni, non siete curiosi? Be patient and follow Guido Segni!
http://www.premionocivelli.it/profile-main/2999
https://www.facebook.com/guido.segni
http://guidosegni.com/wwworks/
http://quietdesertfailure.tumblr.com/