Una video-chiamata a tutto Glitch
“L’inedito non esiste”
Oggi parliamo di mixed media art, copyright, memoria digitale,pornografia e social media con l’artista della rete Domenico Barra.
Italiano originario di Napoli,inizia la sua carriera in Inghilterra dove si appassiona alla remix culture, net art, glitch art e dirty new media art per poi continuare i suoi progetti in Italia. La sua ricerca si spinge al limite delle possibilità dei medium odierni attraverso la manipolazione della materia digitale, non fermandosi alla pure estetica dell’immagine ma ponendo il fruitore di fronte a problematiche politiche etiche e sociali.
Fortunatamente l’era tecnologica ci permette un incontro informale tra Milano e Napoli su Skype dalle rispettive stanze. Ironia della sorte la videocamera di Dom ha qualche problema e durante tutta la video-chiamata la sua immagine si è disgregata e ricomposta in pixel dal rosa al verde fluorescente in un autentico effetto glitch!
Fin da piccolo appassionato alla BeatGeneration e all’arte “anche se a scuola non amavo molto disegnare”, ha studiato Economia aziendale all’università di Napoli,scoprendo un forte interesse per il marketing e la comunicazione,dopo il primo anno però il cambio rotta e parte per l’Inghilterra…
“Doveva essere un viaggio di qualche mese e ci sono rimasto sette anni”
Dom, l’esperienza in Inghilterra ha fortemente segnato la tua carriera artistica, cosa ti ha fatto restare per tutti quegli anni?
In Inghilterra mi sono reso conto che l’arte era più accessibile e più diffusa nel tessuto urbano. Le persone erano più impegnate ad esprimersi in modo creativo dal modo di vestire, di essere…anche dai locali, ai negozi. Lì entrai in contatto con il mondo artistico più per curiosità: dalla scena musicale a quella dei writers che già frequentavo e me ne appassionai profondamente. Decisi poi di iscrivermi al corso di Art and Design al Leeds College of Art anche se ho sempre voluto fare le cose a modo mio.
Tramite la rete, sono entrato in contatto con altri artisti e seguendo tutorial e consigli ho imparato ad utilizzare gli strumenti, creando una mia interpretazione dei new media, anche sbagliando.
“La materia digitale è fantastica, puoi farci quello che vuoi”

Quale mostra o artista è stato d’ispirazione per il tuo percorso?
Sono stati vari ma di sicuro in primis Stan Brakhage e poi Jon Cates che mi ha avviato alla Dirty New Media e alla Cyber Culture ma anche i lavori di jonSatrom, Benjamin Gaulon, Nick Briz, Rosa Menkman, Systaime, Ewan Roth. La mostra invece è “The Children of Uranium” di Saskia Boddeke e Peter Greenaway al PAN di Napoli del 2006. È ancora la mostra che più mi convinse a voler fare l’artista. Mi ha colpito il fatto che il palazzo diventò un’esperienza immersiva, fui affascinato dal potenziale dei mixed media, dell’interazione tra suono, luci, pittura, video, fotografia, scultura e perfino gli odori.
” Io devo realizzare qualcosa di simile,mi dissi”
E sei riuscito a realizzarla?
Si, è stata l’ispirazione per la mostra di fine anno al Leeds Collage of Art and Design. In quel momento ho espresso l’amore e l’odio che provavo per l’Italia in quegli anni. Per l’occasione ho creato un’enorme installazione, volevo far convergere tutto ciò che utilizzavo: c’erano più di 90 kg di sabbia a terra e del sangue di porco in un vaso pieno di crisantemi e torsoli di mela per terra… Era un sepolcro alla mia patria perché per me era morta, morta per risorgere si spera.

Come la diversa pennellata fa si che quel pittore sia riconoscibile,in questo caso lavorando col digitale,quale “firma stilistica” utilizzi?
E’ molto difficile perché i software sono gli stessi e i file pure però una firma potrebbe essere quella di trovare una metodologia di lavoro. Io utilizzo il databending e il datamoshing andando a lavorare le immagini con Audacity e con vari text editing software. Cerco di spingere il databending all’estremo corrompendo i file più volte convertendo l’immagine in diversi formati, dal .jpg al .png, dal .raw al .png e tanti altri ancora. Le mie immagini inoltre tendono ad essere abbastanza riconoscibili per i temi che ho scelto di rappresentare, in primis il corpo umano e la pornografia e l’uso improprio non solo di software ma anche di hardware come scanner e stampanti.
Ti definisci appartenente alla cultura della Glitch Art e in particolare del Dirty New Media, in che valori ti identifichi?
Nonostante mi ci identifichi resto molto critico nei confronti della Glitch Art attuale, non può essere solo un lavoro estetico, utilizzando ad esempio solo Photoshop per creare l’effetto Glitch con un plugin. La bellezza di questi lavori sta proprio nelle varie tecniche e nella ricerca di nuove, nell’uso improprio di programmi per spingere la macchina a generare un glitch “artificiale”, nel non avere il pieno controllo sull’effetto finale, una parte la faccio io, l’altra il computer, il mio computer è il mio collega. Per il Glitch Artist fondamentalista il Glitch è quello che genera il computer, il televisore o un qualsiasi altro mezzo elettronico in modo autonomo e senza l’intervento umano, un glitch “naturale”. Noi glitch artists forziamo la macchina a produrre il Glitch, avveleniamo le informazioni contenute all’interno dei file, aggiungiamo, eliminiamo, sostituiamo, le deformiamo. L’approccio è totalmente diverso. Non è solo un discorso tecnico o di bravura, è proprio quello di dare un valore importante al Glitch.
Senza Glitch come può esserci la Glitch art?
http://newhive.com/dombarra/profile/feed
Parlando di Copyright, perché non è sbagliato copiare?
La copia come mezzo di trasferimento delle informazioni ad altri è il fondamento della conoscenza. Copiare è alla base dell’apprendimento, impariamo copiando. È fondamentale per la ricerca di qualunque entità essa sia, dall’arte alla cucina, dalla politica alla scienza. Tutto quello che facciamo si basa su idee, intuizioni e studi passati e si procede da quelli verso nuove esplorazioni ed interpretazioni. Alla fine l’inedito non esiste. Non esistono persone che in quello che fanno non sono stati influenzati da qualcuno o qualcosa. Ovviamente non parliamo di speculazioni commerciali ma la nostra cultura passata e contemporanea è basata sul remix e sull’appropriazione e non deve essere un privilegio di pochi, cioè di quelli che possono pagare per usare. La pirateria viene rappresentata in modo negativo perché potrebbe essere un danno all’industria del cinema, della musica, del software, dell’editoria ma socialmente ha permesso la diffusione della cultura anche a chi non se lo poteva o può permettere. A Napoli se non fosse stato per Mixed by Erry la musica sarebbe stato un privilegio di pochi. Il copy-it-right di Phil Morton e il documentario “Everything is a Remix” di Kirby Ferguson sono stati fondamentali per il mio modo di pensare e di lavorare.
Sei attivissimo sul web e soprattutto sui social, posti ogni giorno sulle varie piattaforme ma qual’è il tuo rapporto personale con i social?
Cerco di mantenere la mia vita privata al di fuori dei social network, li utilizzo soprattutto per condividere i miei lavori, un uso soprattutto professionale. Certamente anche un uso politico perché tutto è una scelta politica, dalla condivisione di un meme o dal registrare un profilo su un social network. Online siamo costantemente impegnati in un’attività politica anche se non ce ne rendiamo conto. Dobbiamo renderci conto che Facebook non è gratis, se fosse gratis non sarebbe così quasi perfetto. Stiamo pagando con la nostra vita, storie, intelligenza ed emozioni. Ovviamente non solo con Facebook, anche con tutti gli altri social media ed anche aprire un account su queste piattaforme di servizi implica una scelta morale e politica, vuol dire condividere degli ideali ed una visione del mondo appartenente a quell’azienda. Le aziende utilizzano i nostri dati, le nostre foto, i nostri post per studiare il nostro comportamento. Inoltre la nostra costante frenesia di fotografare e condividere genera la necessità di server sempre più grandi e potenti che consumano tantissimo per funzionare ed inquinano tantissimo per essere prodotti e questo ha un impatto sull’ecosistema devastante. Dovremmo imparare che non è necessario immortalare tutto, alcune cose possono anche essere dimenticate o non mostrate, ed io ci tengo molto alla Memoria.

In occasione della mostra online Mermaids & Unicorns hai presentato un lavoro sulla memoria, perchè proprio questa tematica?
La mostra curata da Carlotta Meyer, Benoit Palop e Tina Sauerländer si confronta con il tema dell’evanescenza, io l’ho voluta affrontare attraverso la fragilità della memoria digitale che possa essere intesa come un file su un telefonino, su di un pc o in cloud. Grazie al digitale possiamo avere un ricordo di tutto, anche i momenti più banali e cose futili ma al digitale affidiamo anche i nostri ricordi più cari ma il digitale è così vulnerabile. La nostra memoria è in balia di virus, obsolescenza, attacchi di ogni tipo come i ransomware che sono sempre più diffusi.
Purtroppo anch’io ho perso molti file ed è sempre un grande dispiacere, ma uno per il quale mi si è davvero spezzato il cuore era un video fatto con Movie Maker agli inizi del 2000 realizzato appropriandomi di immagini dalla rete, tante immagini e tantissime gif che all’epoca non erano ancora così popolari e condiderate dall’arte contemporanea. La colonna sonora era Serial Thrilla dei Prodigy. Sarebbe stato un lavoro molto attuale!
“So, who will take care of ours digital memories if we don’t?
http://mermaidsandunicorns.net/
http://v1r0l0gy.tumblr.com/
http://newhive.com/dombarra/hidden-eye
Qual’è il tuo rapporto con l’autoritratto e visti i tempi in cui viviamo con il selfie?
Gli artisti hanno sempre avuto un rapporto con l’autoritratto e la propria immagine. Oggi il selfie è stato consacrato come medium e strumento di auto rappresentazione e narrazione dell’io. La condivisione però spesso è ossessiva e sfocia in una pratica edonista narcisista, era inevitabile. Ho molti lavori sull’autoritratto, molti sono ironici.
Nel mio lavoro “Prisoners of the Machine” mi occupo del selfie come comportamento narcisista, poiché con il selfie condividiamo la nostra parte più bella (o almeno l’intento è quello), condividiamo ciò che ci fa sentire migliori e belli, siamo nella società del regime della bellezza. I soggetti diventano prigionieri della macchina per potersi specchiare, per poter vedere la loro immagine studiata e spesso copiata, molta emulazione. Il telefonino diventa in alcuni casi un oggetto con il quale tendiamo ad avere un rapporto fisico ed erotico. Inoltre pensiamo al fatto che tutti i selfie che facciamo vengono utilizzati per il riconoscimento facciale, per allenare le diverse AI, è nuovamente una questione di consapevolezza. Quando io corrompo un mio selfie in quel momento sto offuscando la mia immagine rendendola difficile da utilizzare per gli strumenti di riconoscimento facciale ma allo stesso tempo creando la mia self-narrative e rappresentazione.
http://newhive.com/dombarra/pr-0-3r-0f-t-3-4c-3
http://newhive.com/dombarra/-s3-f-3-t-3-f3-0f-4rt-t
http://newhive.com/dombarra/boy-t-a-gl-tc
https://vimeo.com/131540237
Dom,tu ti occupi di varie tematiche, ma sei comunque riconosciuto da molti per i tuoi lavori sulla pornografia. Con quale intento realizzi queste opere?
Ho fatto molti lavori è vero ma tendono a chiedermi spesso di vedere o discutere dei lavori sulla pornografia. Una volta durante l’esperimento di comunicazione online “dirty home printing chat” mi hanno perfino incalzato: “Ok, but where is the Porn?”, volevano solo vedere immagini pornografiche.
L’interesse alla pornografia lo avevo fin dalle scuole medie, l’interesse tipico dei ragazzini annoiati e curiosi, ma ora sono molto più critico ed informato, mi approccio consapevolmente alle problematiche dell’industria come la distribuzione e produzione professionale alla nascita della pornografia amatoriale. Nel mio lavoro l’immagine viene trattata artisticamente, devalorizzando spesso l’atto sessuale e diventando così strumento di emancipazione e liberazione del corpo e dell’atto. Appropriandomi delle immagini punto l’attenzione sulla diffusione dell’immagine del corpo online e il copyright delle immagini. Online diventa quasi tutto di dominio pubblico. L’idea artistica era quella di alterare l’estetica e rendere la pornografia più complessa, andare oltre il mito dell’HD, poter distribuire il materiale diversamente nel web e sfruttare i vari canali e strumenti per il consumo di queste e rendere il consumo più problematico. Mi sono ispirato al Peep Show, ai film di Lasse Braun (dei quali mi affascinano la fotografia e le musiche anche) e all’analisi delle tendenze social in materia di cyber sex.
“Non l’ho fatto con l’intento di farla diventare una battaglia ma è diventato anche quello”.
https://www.slideshare.net/dombarra1
https://dombarra.tumblr.com/post/159426494878/how-relevant-is-time-in-the-present-state-ofhttps://www.slideshare.net/DomBarra1/h34dh3rl3-nsfw
http://headherless.tumblr.com/
http://piratepornomaterial.tumblr.com/
Quali sono i tuoi focus attuali?
Mi sono sempre occupato delle sottoculture della rete e anche ai fenomeni legati al sessismo, il razzismo, l’identità e la privacy.
Il mio focus attuale si distanzia da quello della pornografia inserendosi nell’ambito dei tactical media, della sorveglianza, la tracciabilità, tutto quello che ha a che fare con l’accumulazione dei dati da parte di grandi colossi come Google e Facebook.
Mi sto interessando anche alla pratica dell’obfuscation e del problema dell’identità sui social e dei dati che forniamo volontariamente alla rete. Ad esempio è il progetto Addle Eratat presentato a The Wrong Biennale nel quale io e Luigi Console (Mighty_Kongbot) abbiamo sperimentato il metodo Kosinski utilizzato da Cambridge Analytica per la campagna elettorale di Trump, su un personaggio fittizio creato su Facebook cambiando identità a questo profilo ogni settimana. Mi sto occupando anche di Dead Media e ho creato un archivio che raccoglie le tecnologie ormai obsolete. Inoltre, visto le conoscenze ottenute per passione e durante il primo ed unico anno universitario alla Federico II di Napoli, sto sviluppando una ricerca sull’uso ed abuso della pubblicità in ambito di occupazione e appropriazione di spazio visivo online, nei luoghi fisici e sulla persona, advertisement visual pollution.
https://deadmediafuneralparty.tumblr.com/
http://www.mightykongbot.com/addle-eratat/
http://addleeratat.tumblr.com
https://vimeo.com/206745668http://www.dmncrmx.co.nr/
“The world is a dangerous place. The world is a mind-poisoner and criminal safe haven. We will take care of your freedom for security reasons”
Dom, lavorando nel campo pubblicitario come ti rapporti ogni giorno con un sistema che tu stesso denunci?
Si, mi occupo anche di pubblicità sul web e questo mi permette di studiarne i fenomeni ed essere molto critico e consapevole di ciò che ci succede. Ad esempio insieme a delle studentesse che vennero da noi in azienda per uno stage ci siamo occupati di una ricerca sul fenomeno del Banner Blindness. Porto avanti la mia personale campagna di Ethical Advertising ad esempio. Scarico immagini dalla rete ed offusco la presenza dei marchi e loghi e le rimetto in circolo con l’intento di liberare le immagini dal riflesso del marchio, dalla sua aura e far notare alle persone, spero, che le aziende sfruttando gratis lo spazio sul nostro corpo, che possa essere lo spazio sul fronte di un berretto o sul lato di una scarpa che indossiamo.
La pubblicità deve essere riconosciuta, non sono per l’AdBlocking totale ovviamente, ma ci vuole più etica da parte delle aziende, il consumatore deve essere rispettato.
“Immagina se un giorno dei cyber-criminali cancellassero tutti i dati dal web, per me quella è l’apocalisse”
https://error404logonotfound.tumblr.com/
Prima di lasciarci vorrei farti un’ultima domanda: vista la continua fuga dei nostri artisti dal Paese, tu cosa pensi di fare, resterai in Italia?
Penso resterò a Napoli per adesso, oppure andrò a Parma dalla mia compagna. Ma voglio vivere Napoli adesso, la città sta cambiando anche se vi è ancora il problema sociale della Camorra che è molto forte, siamo vittime di uno stato che non si impone e non crea alternative per chi rimane con una sola scelta per tirare a campare.
Chiudiamo l’intervista con due progetti sul nostro Paese, uno sulla Camorra “Il Codice del Silenzio” ed un affascinante lavoro proprio sulla sua città: Napoli.
“Napoli is a complex system and it’s glitching and I am glitching with it.”

Glitch & Gossip
1- per la sua prima installazione i suoi coinquilini hanno dovuto mangiare più di 50 mele lasciando solo il torsolo.
2- è stato contattato da delle pornostar con le quali ha collaborato per dei progetti.
3- da piccolo rivendeva magazine pornografici fotocopiati a scuola per il suo ” piccolo business”, è così che ha iniziato i suoi primi esperimenti con i software, il computer, lo scanner e la stampante, la copia e la diffusione di immagini.
Domenico Barra è attivo su social e web, per restare aggiornati sui suoi nuovi lavori e approfondire la sua ricerca seguitelo su:
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